di Bruno Sasso
Torino perde nove posizioni nella classifica sulla qualità della vita del 2022 stilata dal Sole 24 Ore, scendendo così al quarantesimo posto nazionale.
Non era il caso di sentirselo dire dal giornale confindustriale, attraverso un’indagine che evdentemente porta i limiti di trasformare in numeri quelle che possono essere più semplicemente sensazioni e condizioni.
Qualsiasi torinese percepisce la criticità di giustizia e sicurezza, dove la città è messa davvero male, ed ambiente e servizi, dove il capoluogo riesce a far diventare un problema il rinnovo di una carta d’identità o l’espletamento di un servizio presso la maggior parte degli uffici postali quando, anche soltanto nei centri limitrofi, le cose vanno molto meglio.
Ciò è diretta conseguenza di un’opinione pubblica condizionata dalla piaggeria innanzitutto dei principali media locali, protesi a difendere il sistema.
Torino precipita, ma chi la governa e l’ha governata per anni è ed è stato bravo, dicono i giornaloni ed il tiggì3.
Strano modo di procedere.
Ma è sugli affari e sul lavoro che, nel corso del 2022, il capoluogo subalpino è andato malissimo.
Lo abbiamo detto più volte in questo mensile e lo ha ribadito ancora una volta l’editoriale della pagina precedente che il processo di deindustrializzazione in una realtà che per vocazione, formazione e cultura non era preparata a riciclarsi verso il terziario, subendo peraltro la concorrenza di una Milano distante mezz’ora di treno, avrebbe comportanto pesanti conseguenze.
Si è imbastita tutta una campagna informativa, anzi disinformativa, per sostenere il turismo come futuro per la città ed ora se ne vedono le amare conseguenze.
Pure la cultura va male.
Ed era una delle utopie narrate.
Almeno, però, aveva il vantaggio di inserirsi in un contesto di propensione alla ricerca ed all’elaborazione, capace di anticipare il futuro in tanti campi della creatività.
Inoltre Torino vanta ancora grandi istituzioni culturali.
Manca, però, un indirizzo politico sia a livello comunale sia a livello regionale.
Iniziative capaci di andare oltre il tran-tran di enti sia pure meriteveli sono pari allo zero.
Si difende l’esistente, in un fortino assediato, senza tentare neppure una sortita.
Illuminante, convergente rispetto alla classifica del Sole 24 Ore, la ricerca di Kkienn, ampia ed impietosa.
Parla di un vero e proprio disastro, motivandolo con un lavoro ampio ed originale anche nel metodo.
La città è regredita in questi anni sul piano economico vedendo allargarsi le fascie povere e facendo così compagnia a Napoli e Roma e non ad alcuni centri europei tra cui la vicina ed evocata Lione.
Vi è una causa profonda in tutto questo: il ritardo cultural-professionale.
Vi è una carenza di talenti e di fiducia, elemento indispensabile per una realtà che avrebbe dovuto riconvertirsi.
Se a questo si aggiunge il permanere di una isole chiuse, poco comunicative tra loro dove si premiano le conoscenze (insomma, un neo-clientelismo) e non il merito, il quadro si fa ancora più complicato e destinato a perdurare nel tempo.
Infatti le città dove contano di più le relazioni del merito sono in declino economico, quelle in cui il rapporto è inverso vedono la luce della crescita.
L’esito di tutto ciò è la presenza di élite scollegate dalla comuinità.
La speranza che può derivare da un sussulto comunitario è vanificato dalla scarsa partecipazione a movimenti politici, sindacati ed associazioni professionali, anche in questo caso deficitario soprattutto nelle comunità che vanno peggio, in Italia più che nel resto d’Europa in crescita.
Anche nel caso di questa ricerca comparata, presentata in maniera semplice ed accattivante, non si dice però nulla di nuovo rispetto a quanto percepiscono i cittadini torinesi.
Forse si tralascia solo un elemento autocritico: quello di conoscere questa situazione in maniera lucida e diffusa, ma non fare nulla per cambiarla.
Sicuramente il ruolo della classe dirigente locale, che ha compiuto un’opera straordinaria di disinformazione e di manipolazione dalle Olimpiadi invernali del 2006 in poi per coprire la grande fuga della manifattura, ha avuto un grande peso.
Le isole chiuse della clientela hanno fatto quadrato.
Ma l’immobilismo politico-amministrativo causato dalla perseveranza nel premiare quanti hanno favorito il declino di Torino sono imputabili ad un conformismo elettorale assai raro da riscontrare.
Urge un forte ed immediato risveglio della città.