Un pagina di Storia colpevolmente dimenticata

Quando i nostri esponenti politici, anche se non direttamente protagonisti  e testimoni dell’evento, erano in possesso di una significativa cultura storica e politica, questa data veniva continuamente evocata da vincitori e vinti, con sentimenti contrapposti.

Oggi il prevalere dei designati dal web o di leader improvvisati e presuntuosi, contribuisce a mantenere l’ignoranza e ad incoraggiare l’oblio. 

Per capire la reale portata di quel che ha rappresentato il 18 aprile 1948 nelle vicende politiche e nella storia d’Italia, è bene inquadrare l’intero periodo di riferimento.

Si tratta di un tempo storico per molti versi lontanissimo dall’attuale, cioè quando oltre quarant’anni prima della caduta del Muro di Berlino (1989) e della fine dell’Unione Sovietica (1991), la questione comunista” rappresentava un pericolo reale.
In quell’epoca, appunto, la questione comunista dominava la scena. Terminata quella parte della “guerra civile europea” che aveva affranto l’Europa dall’inizio della Grande Guerra (1914) nel conflitto fra il nazionalsocialismo tedesco e il fascismo italiano contrapposti all’Urss di Stalin e alle democrazie occidentali, si proponeva il nuovo conflitto fra queste due componenti.

Mentre i Paesi dell’Europa orientale dopo Yalta, cadevano sotto l’egemonia di Mosca, attraverso colpi di Stato comunisti in Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Albania, Romania, in Italia il Partito Comunista veniva “orientato” da Palmiro Togliatti, rientrato da Mosca nel 1944, alla costituzione di un “partito nuovo”, capace di conquistare l’egemonia culturale del Paese cambiando il senso comune degli italiani, pur mantenendo sempre aperta la possibilità di un confronto armato, come molti comunisti avevano sognato durante la Resistenza.

Le prime elezioni politiche dopo la fine del conflitto mondiale avvennero nel giugno 1946 per eleggere i membri dell’Assemblea costituente che avrebbe dotato il Paese della Costituzione. Contemporaneamente si svolse il referendum istituzionale con l’ancor oggi discussa vittoria di misura della Repubblica e con probabili brogli, addirittura favoriti dal Ministro degli Interni, il socialista Giuseppe Romita. 

I due risultati spaventarono il mondo dei moderati, perché il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano insieme avevano ottenuto più voti della Democrazia Cristiana e la forza organizzativa del primo, collaudata dalla Resistenza, e con una struttura clandestina di tipo militare che non era stata smantellata, avrebbe potuto rappresentare una vera minaccia.

Anche il Pontefice Pio XII temeva per la Chiesa italiana qualcosa di simile a quello che stava capitando alle diverse “Chiese del silenzio” nei Paesi dell’est, così come era accaduto a ortodossi e cattolici in Russia dopo la Rivoluzione del 1917. 

La garanzia che gli Stati Uniti non avrebbero permesso al Pci un colpo di Stato, come nei Paesi oltre la Cortina di ferro che divideva l’Europa, era fondata anche sul precedente greco, dove i comunisti insorti erano stati sconfitti dalle truppe inglesi nel 1944/1945, ma qui in Italia si trattava di elezioni, cioè del rischio che i socialcomunisti conquistassero democraticamente il governo.

Il mondo cattolico si presentò al confronto elettorale, previsto per il 18 aprile 1948, unito come forse mai più si verificherà nella storia nazionale. E mai più si verificherà una mobilitazione così capillare con un coinvolgimento della Chiesa diretto ed esplicito.

La Santa Sede, e con essa i vescovi italiani senza apparente eccezione, ritenevano questo evento non una tornata elettorale ordinaria, seppur importante, ma una scelta di civiltà, che avrebbe deciso l’appartenenza dell’Italia al mondo libero, anticomunista, occidentale e cristiano, oppure la avrebbe condotta a sperimentare un governo socialcomunista, eletto e quindi democraticamente ineccepibile.

E se così fosse andata a finire, è difficile immaginare cosa si sarebbe potuto verificare. Ma i timori della vigilia verranno smentiti dai risultati. La Dc, sostenuta dal mondo cattolico, da quello liberale, da molti elettori di destra che la scelsero come “diga anticomunista”, conquisterà una vittoria memorabile, ottenendo la maggioranza assoluta dei deputati.

Ma i veri protagonisti dell’evento erano stati i Comitati Civici, voluti da Pio XII tre mesi prima delle elezioni di fronte alla debolezza culturale e organizzativa della Dc e affidati a un medico di fama mondiale nel campo della genetica, Luigi Gedda, vicepresidente dell’Azione cattolica.

La macchina organizzativa dei Civici, come verranno poi chiamati, permetterà alla Dc di guadagnare quasi cinque milioni di voti rispetto alle elezioni del 1946 e a Gedda di diventare la figura di riferimento del cattolicesimo nazionale. Fin da subito i Civici entreranno in rotta di collisione con il partito.

In effetti, nel mondo cattolico italiano vi erano tre differenti posizioni culturali, che si distinguevano soprattutto per la risposta che davano al rapporto con la modernità, cioè su come comportarsi di fronte al Paese uscito dal Risorgimento, laicizzato e tiepido nei confronti della civiltà cristiana.


I Comitati Civici esprimevano un cattolicesimo che voleva continuare la presenza nel Paese del movimento cattolico organizzato prima nell’Opera dei Congressi (1874-1904), poi nell’Unione Elettorale (1905-1919) e quindi nell’Azione Cattolica.  

Il modo di operare di cattolici così costruiti rendeva difficile la coesistenza con la DC, un partito aconfessionale, autonomo rispetto al movimento cattolico, diviso sostanzialmente in due componenti. 

La prima era composta dagli antichi esponenti del Partito popolare di don Luigi Sturzo e da quei deputati che provenivano dall’Azione Cattolica e faceva capo ad Alcide De Gasperi; rappresentava la maggioranza del partito.

Un partito non ancora di massa, senza un radicamento territoriale che cominciò ad avere soltanto dopo la morte di De Gasperi, e che fino al 1954 si appoggiò alle strutture del mondo cattolico, ma non aveva uno specifico progetto culturale che non fosse quello di governare lo Stato, secondo l’ottica pragmatica del suo leader, indubbiamente l’autentico e unico statista della storia italiana del dopoguerra. 

Uno statista che entrerà in contrasto con Gedda e con lo stesso Pio XII forse proprio perché non aveva un progetto culturale che andasse oltre la corretta amministrazione  aconfessionale dello Stato e per la sua opposizione a qualsiasi collaborazione della Dc con le destre, come avverrà nel 1952, a Roma, in occasione dell’«Operazione Sturzo».

Ma statista perché, pur sfruttando il principio dell’unità politica dei cattolici nell’unico partito democristiano, non permetterà a quest’ultimo di occupare lo Stato, come avverrà progressivamente dopo la sua morte.

A De Gasperi, nella Dc, si opponeva la sinistra guidata da Giuseppe Dossetti, al quale facevano capo i cosiddetti professorini, cresciuti in Università Cattolica; Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani e, con una storia e caratteristiche un po’ diverse, Giorgio La Pira.

La loro prospettiva era più marcatamente improntata al desiderio di costruire una nazione che, attraverso l’intervento dello Stato, potesse risolvere i problemi della povertà e delle ingiustizie in generale.

Era una prospettiva “statalista”  nel senso che riteneva che lo Stato dovesse con la sua forza cambiare volontaristicamente la società.

Nascerà così l’equivoco della Dc che andrà a “occupare” lo Stato dopo il 1954, invece di aiutare la società a crescere, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

Queste tre posizioni, i Civici, la Dc di De Gasperi e quella di Dossetti, daranno vita a un confronto aspro, a volte pubblico e dannoso, che aveva anche ripercussioni ecclesiali.


I Civici verranno “silenziati”, come dirà Gedda, nel corso degli anni Sessanta e in particolare la persona di Gedda verrà sottoposta a una sorta di damnatio memoriae, in particolare dentro l’Azione Cattolica, dopo la cosiddetta “scelta religiosa” successiva al 1963.

I motivi di tanto accanimento sono diversi: un rifiuto ideologico verso una posizione nitidamente anticomunista e per un cattolicesimo che oggi chiameremmo “identitario” e missionario, lontano dalla prospettiva che riteneva ingiusto e impossibile tentare di costruire una società cristiana, che diverrà prevalente nel mondo cattolico nel corso degli anni Sessanta, anche in seguito all’interpretazione del Vaticano II come Concilio di “rottura” rispetto alla Chiesa precedente. Stava nascendo la Chiesa Giovannea.

Gli statalisti con Fanfani e Moro, aprirono il Governo ai socialisti  nel 1963, crearono le premesse per il progressivo incremento del deficit dello stato, con riforme ed iniziative che invece di privilegiare l’interesse del cittadino e dell’economia di mercato, diedero il via al dilagare della spesa pubblica improduttiva.

I programmi governativi di quel primo Centro Sinistra erano concentrati nell’implementazione della partecipazioni Statali. I manager furono sostituiti da funzionari di partito. Si nazionalizzò l’energia elettrica, proliferarono sovrastrutture statali fuori controllo sotto il profilo gestionale, tipiche di una società socialista.

Successive riforme incrementarono la pressione fiscale, anche a danno del commercio (l’introduzione dell’IVA ecc.) e favorirono la crescita spropositata della burocrazia, con l’introduzione di legislazioni farraginose che, contribuirono a minare la credibilità dell’Italia  nel panorama internazionale.

Questa scia perdura tutt’ora, pur nella geografia politica ormai irriconoscibile da quella ante 1963.

Il tramonto della DC e del PCI, portò progressivamente all’unione dei due partiti di massa in quello che oggi è il PD, ove non sono mancate e non mancano le frazioni che traggono anche origine dalla provenienza dei singoli esponenti.

I vincitori della grande battaglia di civiltà del 18 aprile 1948 non l’hanno mai potuta celebrare e ancora oggi, anche a causa del  conformismo culturale, non sono state prodotte ricostruzioni storiche importanti dell’evento. 

Così, la data di nascita dell’Italia moderna, la vittoria elettorale forse più eclatante di tutta la storia della Repubblica, un evento incruento, autenticamente popolare, capace di evocare ideali nobili e autenticamente percepiti dalla maggioranza della popolazione, è stato completamente dimenticato dagli stessi protagonisti e dai loro eredi.

Una vera e propria anomalia. Alla vigilia del settantacinquesimo anniversario, sarebbe indispensabile riportare alla luce e all’attenzione questi fatti e i loro protagonisti, “messi in un angolo” e umiliati dai vincitori.

Fra di loro non si trovano soltanto i protagonisti, Alcide De Gasperi e Luigi Gedda, ma anche decine di migliaia di militanti, sconosciuti, che nei decenni successivi al 1948 hanno combattuto e sofferto per mantenere vivo lo spirito del 18 aprile.

Loredana Muci
Author: Loredana Muci

Segretario Cittadino della Democrazia Cristiana Torino

Di Loredana Muci

Segretario Cittadino della Democrazia Cristiana Torino

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